Positivo ma non infettivo – il perché di uno slogan

positivo-ma-non-infettivo

Pride significa orgoglio. Sappiamo tutti da dove nasce: l’idea di rivendicare che l’identità o l’orientamento omosessuale, bisessuale, transessuale, queer non siano qualcosa di cui vergognarsi – come purtroppo ancora oggi una parte della società vorrebbe far credere – ma di cui essere orgogliosi. Un modo per dire: “sì, sono diversa o diverso da te, che problema c’è?” o addirittura “impara dalla mia diversità, come io imparo dalla tua”.

Insomma l’orgoglio LGBT è il riscatto di una identità bistrattata. È la straordinaria strategia di una comunità che rovescia le stigmatizzazioni per farne motivo di rivendicazione. Mi chiami frocio? E io mi fregio di questo appellativo!

Eppure sono tante ancora oggi le identità e le condizioni personali discriminate. A noi di Plus interessa quella delle persone che vivono con l’HIV. Donne e uomini che a causa di un virus si trovano escluse dalla società, dal mondo del lavoro e anche dal gruppo a cui appartengono. Troppo spesso questo accade anche nel mondo LGBT: ragazzi gay che vivono con il virus senza parlare di ciò con i loro amici gay o persone transessuali che nascondono la loro condizione di sieropositività anche alle altre persone trans, tutto per la paura dell’esclusione.

Allora verrebbe da chiedersi: avrebbe senso usare anche qui la strategia dell’orgoglio? È possibile parlare di orgoglio sieropositivo? Magari può sembrare una provocazione esagerata. E qualcuno potrebbe persino replicare che nel fatto di aver contratto un virus trasmesso sessualmente non c’è nulla di cui andare orgogliosi. Però il discorso è più complesso…

Il punto centrale è lo scatto che ti permette di rifiutare l’emarginazione in cui un pregiudizio vorrebbe infilarti. Questo scatto nella maggior parte dei casi non viene da sé, serve un processo di crescita. E di informazione. L’informazione – quella vera, basata su dati scientifici oggettivi e non su opinioni personali – è indispensabile per smontare le barriere del pregiudizio. E da qualche anno proprio la scienza ha consegnato alle persone che vivono con l’HIV uno straordinario strumento: lo chiamano treatment as prevention o con una sigla TasP. In italiano potremmo tradurlo “il trattamento come prevenzione”. Il concetto è semplice: il trattamento antiretrovirale – ovvero i farmaci che le persone che vivono con l’HIV assumono quotidianamente per tenere a bada l’infezione – impediscono al virus di replicarsi nell’organismo. In questo modo la quantità di virus presente nel corpo – cioè nel sangue, nello sperma, nelle secrezioni vaginali, ecc. – si riduce drasticamente. Tanto da non essere rilevabile dagli strumenti normalmente impiegati: ecco perché si chiama viremia non rilevabile o undetectable. Questo naturalmente impedisce al virus di danneggiare l’organismo. Ma non solo.

La conseguenza importantissima per la vita quotidiana delle persone con HIV è questa: in queste condizioni la quantità di virus è talmente bassa che il virus non può essere trasmesso al partner sessuale. E quando diciamo “non può” intendiamo che è davvero pressoché impossibile: nei diversi studi scientifici che sono stati fatti sull’argomento, infatti, le uniche trasmissioni si sono verificate da parte di persone che avevano una quantità misurabile di virus nell’organismo mentre nessuno – e sottolineiamo “nessuno” – ha preso l’infezione da qualcuno con carica virale non rilevabile1.

Sappiamo che la medicina non è una scienza esatta e che una quota di incertezza o di casualità deve sempre essere presa in considerazione; ed è per questo motivo che molti, forse troppi scienziati preferiscono usare la massima cautela nell’affrontare questi argomenti. Ma noi, come organizzazione di persone LGBT che vivono con l’HIV, vogliamo e dobbiamo prendere una posizione chiara rispetto a questo: l’informazione scientifica deve essere fornita al maggior numero di persone nella maniera più corretta possibile. Se davvero gli studi non mostrano casi di trasmissione da parte di una persona con HIV e carica virale non rilevabile potremo ben dirlo! La raccomandazione di usare sempre e comunque il preservativo ha le sue basi di fondamento ma almeno aggiungiamo una informazione che permetta di articolare il discorso in base alle esigenze personali.

Che cosa significano i risultati di questi studi scientifici? Semplice: le persone che vivono con l’HIV ma prendono regolarmente la loro terapia e tengono la carica virale a livelli non misurabili non possono trasmettere l’infezione. Quindi possono smettere di sentirsi un pericolo per gli altri e – viceversa – gli altri possono (e dovrebbero) smettere di aver paura di acquisire l’infezione da loro.

È un muro che crolla. Chi aveva o ha paura di fare sesso con una persona con HIV dovrebbe oggi informarsi meglio. Se quella persona segue bene la sua terapia anti-HIV, non c’è nessun motivo per avere paura. Anzi: è molto più sicuro fare sesso con una persona con HIV e carica virale non rilevabile che con una persona che non ha fatto il test recentemente e si “crede” sieronegativa. Se, infatti, quella persona avesse contratto l’infezione da poco, il virus si starebbe replicando liberamente nel suo organismo e quella persona potrebbe essere altamente contagiosa…

Ma il concetto di base è che la paura non serve a niente: serve, invece, l’informazione. Per questo Plus ha scelto come slogan per il Pride 2015 “Positivo ma non infettivo”. Per lanciare un messaggio chiaro, per forza di cose sintetico, ma che contiene in sé molte importanti informazioni. E per dire che vogliamo rivendicare, se non l’orgoglio di essere sieropositivi, almeno il diritto al rispetto e a non essere esclusi perché tali! Perché la paura e i pregiudizi che di fatto ci tagliano fuori dalla possibilità di sentirci parte piena di una comunità, della nostra comunità, non sono di fatto basati su niente: la verità, quella scientifica, è arrivata per abbatterli. Orgogliosamente.

Nota.

1 – I due studi principali sull’argomento sono l’HPTN052 e lo studio PARTNER. Il primo ha analizzato 1.763 persone con HIV in coppia con una persona sieronegativa; i partecipanti sono stati assegnati casualmente a uno dei due gruppi dello studio: nel primo ricevevano immediatamente la terapia antiretrovirale, nel secondo aspettavano per iniziarla il momento in cui il loro sistema immunitario si fosse indebolito (cioè quando il numero di cellule CD4 del sistema immunitario scendeva sotto le 250 per ogni millimetro cubo di sangue). Dopo 5 anni, nel primo gruppo si è registrata una sola trasmissione e nel secondo 27; la persona che si è infettata nel primo gruppo, però, è stata diagnosticata alla prima visita medica dello studio e secondo analisi approfondite si può concludere che la sua infezione sia avvenuta prima che il o la partner iniziasse la terapia antiretrovirale. Il secondo studio, chiamato PARTNER, ha seguito 282 coppie gay e 445 coppie etero in cui un partner era sieropositivo con carica virale non rilevabile e l’altro sieronegativo; le coppie avevano deciso autonomamente di avere rapporti sessuali senza usare il preservativo. In circa due anni, in cui sono sono stati consumati circa 44.000 rapporti sessuali di cui 21.000 anali, nessun partner sieronegativo ha contratto l’infezione dal proprio partner sieropositivo. Lo studio prosegue l’arruolamento per le coppie gay per avere dati più attendibili su questo gruppo.

Condividi:

Lascia una risposta